XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO

19 Nov

XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO

«Siamo talenti gli uni per gli altri.
Se ci seppelliamo nell’egoismo
diventiamo inutili a generare vita e
non godremo la gioia creatrice di Dio»

 

 

Colore VERDE (anno A)                                                   

XXXIII DOMENICA

del TEMPO ORDINARIO

 

«Il telento è ” COLTIVARE E CUSTODIRE LA FELICITÀ degli ALTRI”»

 

CANTO DEL VANGELO (Gv 15,4.5)
Alleluia, alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,

chi rimane in me porta molto frutto.
Alleluia.

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VANGELO (Mt 25,14-30)
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque.
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”.

“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Parola del Signore

Lode a te o Cristo

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COMMENTO (Spunti da P. Ermes Ronchi)

 

Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. Dio ci consegna qualcosa e poi esce di scena. Ci consegna il mondo, con poche istruzioni per l’uso, e tanta libertà.

Questa è l’immagine di Dio che ritroviamo in molte parabole: ha fiducia in noi, ci innalza a con-creatori, lo fa con un dono e una regola, quella di Adamo nell’Eden “coltiva e custodisci” il giardino dove sei posto; vale a dire: ama e moltiplica la vita. Questa è la liturgia primordiale del mondo.

Nessun uomo, da “Adamo” in poi, sarà mai senza il suo giardino da coltivare e custodire.

I talenti della parabola, oltre a rappresentare le doti dell’intelletto e del cuore e la bellezza interiore di cui nessuno nasce senza, annunciano che ogni creatura che incrociamo sulla nostra strada è un talento di Dio per noi, un tesoro messo nel nostro campo. Ognuno di noi è l’Adamo coltivatore e custode della fioritura e della felicità dell’altro.

 Il Vangelo è pieno di una teologia semplice, la teologia del seme, del lievito, di inizi che devono fiorire. A noi tocca il lavoro paziente e intelligente di chi ha cura dei germogli:

«L’essenza dell’amore non è in ciò che è comune, bensì nel “costringere” l’altro a diventare qualcosa, a diventare infinitamente tanto, a diventare il massimo che gli consentono le forze». (R. M. Rilke).

A questo ci invita questa parabola: a prenderci cura reciprocamente della vita affinché sia degna e felice alla misura di ciascuno.

Il momento del rendiconto ci riserva altre sorprese. Scopriamo che chi consegna dieci talenti riceve lo stesso premio di chi ne consegna quattro: “Bene servo buono e fedele … prendi parte alla gioia del tuo padrone”.  Dio non è un capitalista che accumula quantità di beni, ma un coltivatore che cura la qualità del Bene e ne fa parte a chi è disponibile ad averne cura con Lui.

Non servono doti eccezionali, solo la sincerità del cuore e la fedeltà al nostro profondo essere, dove possiamo intuire Dio come un Padre che ci sprona ad usare bene la nostra libertà, e non come un Giudice di cui avere paura.

La paura ha paralizzato il servo che ha sotterrato e tenuto per sé il talento, che doveva servirgli per coltivare e custodire la felicità degli altri. Avrebbe custodito e coltivato anche la sua felicità e invece, nel momento del rendiconto, ha dovuto registrare il vuoto, l’insignificanza, l’infelicità della sua vita.

Come spiegare che ciò che viene tolto a lui viene dato a chi già aveva, e aveva di più?

Anche qui non in termini quantitativi, ma qualitativi: la gioia del padrone è la stessa per tutti quelli che hanno “moltiplicato” i doni avuti, ma è commisurata alla disponibilità con cui ci si è donati agli altri.  Ne riceve di più chi più si dona.