Dieci minuti con se stessi – argomento: “GIUSEPPE E IL LAVORO”
GIUSEPPE E IL LAVORO
Il lavoro non mi piace – non piace a nessuno – ma mi piace quello che c’è nel lavoro: la possibilità di trovare se stessi, scoprire la propria realtà che nessun altro potrà mai conoscere.
JOSEPH CONRAD
La figura di san Giuseppe – che ci è stato proposto l’altro ieri dal calendario – è inestricabilmente connessa all’idea di lavoro, con la fatica e la semplicità che a esso sono associate. Nonostante il tentativo, forse interessato, di qualche autore di ricondurre il padre legale di Gesù alla categoria dell’imprenditore, i dati evangelici e il contesto sociale ampiamente studiato in ricerche accurate anche recenti vanificano queste ricostruzioni. Dopo tutto, come si spiegherebbe l’ironia dei compaesani di Nazaret che «si scandalizzano» della professione di Giuseppe e del livello sociale della sua famiglia (Marco 6,3-4)?
Giuseppe ci parla, dunque, del lavoro modesto e comune che «non piace», come osserva il romanziere di lingua inglese Joseph Conrad nella frase sopra citata e desunta dalla sua opera Cuore di tenebra (1902). Eppure è proprio in quell’attività che l’uomo trova se stesso, le sue capacità, la sua funzione nel mondo. È per questo che essere senza lavoro non crea serenità ma insoddisfazione. L’uomo, infatti, dice la Genesi, è stato collocato sulla terra «per coltivarla e custodirla» (2,15). Il dramma del disoccupato o di chi è costretto a un lavoro alienante e inadatto è quello di non realizzare se stesso. Per questo la figura di Giuseppe ha la sua pienezza proprio nella sua missione semplice di sostegno alla sua famiglia e di fedeltà al suo compito. E anche se «lavorare stanca», come diceva Pavese (1908-50), o «non piace», «allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno» (così Voltaire in Candido).
Testo tratto da: G. Ravasi, Breviario laico, Mondadori